Inno per le feste di Venere

Da Wikisource.
latino

Anonimo Antichità 1799 Gian Domenico Romagnosi Indice:Pervigilium Veneris (Romagnosi).pdf Inni letteratura Inno per le feste di Venere Intestazione 1 novembre 2011 100% Inni


[p. 23 modifica]

PERVIGILIUM VENERIS


OSSIA


INNO PER LE FESTE DI VENERE


NUOVA TRADUZIONE


DI


GIANDOMENICO ROMAGNOSI


[p. 25 modifica]Al celebrarsi delle ben augurate nozze tra la nobile signora Contessa Donna Maria Teresa d’Arco ec. ec. col nobile signore Barone Pier-Paolo De Altenburger ec. ec. si publica questa nuova e fedele versione del Pervigilium Veneris a significazione di sincero giubilo, di dovuta gratitudine, e di profondo rispetto. (Trento 1799)


[p. 27 modifica]

         Ami domane — Chi non amò;
              E ancor chi amò — Ami domane.

Nuova e canora sorgere — Già vedi Primavera.
     In primavera il nascere — Fu dato ad ogni sfera.

In primavera accordano — Gli amori le lor voglie;
     Nido nuzial gli aligeri — In primavera accoglie.

E ’l bosco che rivegeta — Per maritale umore
     Della sua chioma scioglie — All’aura il nuovo onore.

Dal sangue allor de’ Superi, — Dal globo fuor spumoso,
     Infra cavalli bipedi, — Fra azurro acervo ondoso,

L’almo poter d’Egíoco — Su conca lucicante
     Fece dischiuder Venere — Marino umor grondante.
                  Ami domane, ec.

La Dea che amori accoppïa — Fra gli alberi ombreggianti
     Tesse con tralci mirtei — Capanne verdeggianti.

Assisa in alto soglio — All’indoman Dïone
     Farà co’ suoi giudizi! — Equa ad ognun ragione.

E all’anno che s’irradïa — Di porporin colori
     Ella le spoglie semina — Di bei gemmati fiori.

Ella doman le Vergini — Avvinte vuol di rose
     Che dalle foglie scuotano — Le stille rugiadose.

I germi sol che spuntano, — Cui la corteccia stringe,
     Con l’aura di Favonio — In rosei nodi spinge.

Essa al notturno soffio — Dell’etere sereno
     Sparge rugiada lucida — Su l’umido terreno.
                  Ami domane, ec.

[p. 29 modifica]


Ma vedi omai le porpore — Sovra de’ fior dipinte
     Dal loro sen dischiudere — II rosso di lor tinte:

Tinte di sangue Adonio, — Di baci d’amor fatte,
     Da’ rai del Sol vermigli, — Da gemme e fiamme tratte.
                  Ami domane, ec.

Col suo comando Venere — Dalle sue Ninfe chiede
     Che a’ sacri boschi mirtei — Volgan sommesse il piede.

Alle fanciulle socïo — Va il pargoletto Nume;
     Ma se de’ strali ei gravasi, — Ozioso chi ’l presume?

Ite omai, Ninfe impavide; — D’ogn’opra Amor riposa:
     Che ignudo e inerme ei vadasi — Si vuole, e l’arme posa.

Vietato fugli il compiere — Ogni pensier di male
     Coll’arco o cogl’ incendii, — O col vibrar lo strale.

Pur, Ninfe, state in guardia, — Che bello è il Nume alato:
  Quando Amor nudo trovasi, — Tutto è del pari armato.
                  Ami domane, ec.

Ecco a te, Vergin Delïa, — Da Venere mandate
     A te simili vergini — D’ egual pudor dotate.

Chiediam sol una grazïa: — Deh! lascia che le selve
     Monde del sangue siano — Delle trafitte belve.

La Dea d’amor medesima — Vorrebbe te pregare,
     Se una pudica Vergine — Sapesse a sè piegare.

Alle sue feste aggiungere — Vorría la sua presenza,
     Se fosse convenevole — A verginal decenza.

Cori potresti scorgere — Già da tre notti in feste,
     Sparsi a drappelli unanimi — Gir per le tue foreste.

Tu li vedresti scorrere — Ad ora fra mirtine
     Capanne, e ad ora avvolgere — Serti di fiori al crine.

Quivi si trova Cerere, — Nè Bacco vedi absente;
     De’ vati il Nume armonico — Ivi sta pur presente.

Tutta la notte in cantici — Si veglia, se ’l concedi;
     Regni ne’ boschi Venere; — O Delia, tu recedi.
                  Ami domane, ec.

[p. 31 modifica]


All’indoman di Cípride — Fu per volere indetto
     De’ fior che in Ibla sorgono — Sia un tribunale eretto.

Da lei medesma preside — Decreti emaneranno;
     Compagne nel giudizïo — Le Grazie sederanno.

Ibla, i fior tutti versaci — Nell’anno intier raccolti,
     E stare quanti possono — D’Enna nel campo accolti.

Quì saran quante vivono — Fanciulle in ville o in monti;
     Quante in le selve albergano, — Ne’ sacri boschi o ai fonti.

Tutte, mercè il suo placito, — La Diva quì le aduna:
     Ad Amor senza spoglia — Vieta il dar fede alcuna.
                  Ami domane, ec.

Già il toro il fianco adagia, — E la ginestra ingombra;
     Ecco belanti greggie — Co’ lor mariti all’ombra.

Quanto cammina o striscia, — E quanto spiega l’ali,
     Tutto s’affrena e abbracciasi — Con nodi conjugali.

Già senti i cigni garruli, — De’ stagni in mezzo all’onda,
     Col rauco loro strepito1 — Far rintronar la sponda;

E del pennuto genere — Alle canore schiere
  La Diva diede l’ordine — Ora di non tacere.

La violata da Téreo — Vergin col canto dolce
     Del pioppo all’ombra l’etere — Ad ogn’intorno molce;

Talchè diresti esprimere, — Invece del lamento,
   Desir d’Amori teneri — In musico concento.

E la sorella in gemiti, — Diresti, non rivela
     Contro il marito barbaro — L’orror di sua querela.

Essa già canta, e taciti — Starem noi solo a udire
     Se primavera vedesi — Di nuovo a comparire?

Quando verrà che simile — A rondinella io sia,
     E fine al mio silenzio — Così da me si dia?
                  Ami domane, ec.

Note

  1. Uno de’ pochi poeti che non ripeta la stolida canzone del soave canto del cigno.