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EPISTOLARUM QUAE SUPERSUNT



ingegnati d’opponere. Oh! giusto di Colui il giudicio che, de’ cieli, in terra ogni cosa discerne, il quale con laudevole esaltamento di voi li loro intendimenti ha annullati, il che m’è caro. Dell’essere mio in Firenze contra piacere niente vi scrivo, però che piú tosto con lagrime che con inchiostro sarebbe da dimostrare; solamente cotanto vi dico, che, come del pirata Antigono la fortuna rea in buona trasmutò Alessandro, cosí da voi spero doversi la mia trasmutare. Né è nuova questa speranza, ma antica, però che altra non mi rimase nel mondo, poi che il reverendo mio padre e signore maestro Dionigi forse per lo migliore da Dio mi fu tolto. E questo di me al presente si basti. Le nuove cose ed i vari accidenti avvenuti, li quali in coteste parti ora troverete, son certo che non poco occuperanno l’animo vostro nella prima giunta, e per ciò il piú ora non scrivervi reputo onesto, sicuro ancora di tosto vedervi concedendolo Iddio. Signor mio, Colui ch’è d’ogni bene donatore, come l’anima vostra disidera, cosí vi governi.


  Data in Firenze adí xxviii d’agosto, anni Domini MCCCXLI.


Il vostro Giovanni di Boccaccio da Certaldo
ed inimico della fortuna,
la debita reverenzia premessa, vi si raccomanda.]