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EPISTOLARUM QUAE SUPERSUNT



ed ogni cosa aggranchiata per l’aere fresca e contratta, e stante la pestilenzia ed intorno ogni cosa tenendo, sopra il solare di sasso, un letticciuolo pieno di capecchio piegato e cucito in forma di piccole spere, ed in quella ora tratto di sotto ad un mulattiere, e d’un poco di puzzolente copertoio mezzo coperto, sanza pimaccio, in una cameruzza aperta da piú buche, quasi a mezzanotte, a me vecchio ed affaticato è assegnato, acciò che insieme col mio fratello mi riposassi. Gran cosa certo ad uno avvezzo a dormire nella paglia! O notte da ricordarsene, di stigia nebbia offuscata, trista ad ambedue noi ed angosciosa, ma al piú vecchio tristissima! Con ramaricose vigilie, non mai venendo il dí, s’è consumata, e non sola: ma molte, e non sanza dolore incomportabile, piú misere questa seguitarono. Volesse Dio che piuttosto aliga o ulva di padule, se la felce o le ginestre mancavano, vi fusse suta posta! Oh! come bene e come convenientemente sono ricevuto! Forse che non piú splendidamente ad Alba per addietro fu Perseo da’ romani o da’ tiburti Siface, per addietro chiarissimi re, allora prigioni, ricevuti sono. Ma tu, che se’ uomo oculato, non ti ricordavi che abito fusse quello della cameretta mia nella patria, che letto? e quanto male si confacessono con le cose da te apparecchiate? Forse che, sí come della sventurata Ecuba per addietro de’ troiani reina chiarissima leggiamo, me converso in cane stimorono i fanti tuoi? Per la Dio grazia io sono ancora uomo: e se io avessi desiderato... sterquilini ed i brutti e disorrevoli luoghi, abbondevolmente gli arei nella patria trovati: non m’era necessitá per questi, e spezialmente per abitare una sentina, con tanta mia fatica essere venuto a Napoli. Ma che è? In questa medesima sentina al disorrevole letticciuolo s’aggiugne l’ordine dimestico, de’ desinari lo splendido apparecchio, degl’invitati a desinare dilettevole compagnia: la qual cosa, non che io creda che tu nol sappi, ma acciò che tu un poco ti vergogni, ti scrivo. A quelli che nella casa reale entravano, tessuta di travi orate, coperta di bianco elefante (trista battaglia con le cose contrapposte al vedere, al gusto ed all’udito!), si vedeva in un canto una lucernuzza di terra con un solo lume mezzo morto, ed a quello, con poco olio, della vita trista e continua battaglia. Dall’altra parte era una piccola tavoletta, di grasso e spurcido canovaccio, da’ cani o vero dalla vecchiaia tutto róso, non da ogni parte pendente, non pienamente coperta, e di pochi e di nebbiosi ed aggravati bicchieri fornita; e disotto alla tavola, in luogo di panca, era un legnerello