Ottimamente di’, anzi santissimamente ed amichevolmente. Conobbi dalla mia puerizia i costumi de’ cortigiani e la vita loro: ma non mi credeva essere chiamato per seguitare quelli o per osservarli, anzi per essere partefice della felicitá del tuo Grande; e nella lettera mia, innanzi che io venissi, chiaramente protestai che io non potrei sofferire quelli. Perché adunque, se questo non era all’animo di Mecenate, non m’era negato l’andare? Nondimeno io non desiderava quello che tu pensavi, però che, se io sono di vetro al giudicio tuo, io non sono uomo goloso né trangugiatore né ancora per troppa mollezza affemminato. Io non t’arei chiesto vini di Tiro o vero di Pontico o vero, quelli che sono piú presso, vini del monte Miseno o delle vigne dell’Abruzzo o delle vigne di Lombardia a succiare; non t’arei chiesto uccelli di Coleo, d’Ortigia non fagiani e starne, non vitelle o capretti di Surriento, non il porco salvatico di Calidonia vinto da Meleagro, non i rombi del mare adriatico, non l’orate o l’ostriche condotte dalla chiusura di Sergio Orata, non le mele di Esperida, non le vivande degl’imperadori, non le piume di Sardanapalo, non i guanciali della reina Didone, non letto ornato di porpora, non la casa d’oro di Nerone Cesare; non lusinghieri, non citaristi, non fanti con le chiome ricciute, non i baroni del regno. Queste delizie e del tuo Grande e di coloro che lussuriosamente hanno sollicitudine della gola si sieno. Ma arei io voluto quello che spessissimamente domandai, cioè una casellina rimossa da’ romori de’ ruffiani garritori, una tavola coperta di netti ed onesti mantili, cibi popolareschi ma nettamente parati; e, con queste cose cosí temperate, vini vulgari ed in netto vaso e dalla diligenzia del celleraio conservati; un letticello secondo la qualitá della mia condizione, posto in una camera netta: queste cose non sono troppo di spesa né sconvenevoli. Se tu noi sai, amico, io sono vivuto, dalla mia puerizia infino in intera etá nutricato, a Napoli ed intra nobili giovani meco in etá convenienti, i quali, quantunque nobili, d’entrare in casa mia né di me visitare si vergognavano. Vedevano me con consuetudine d’uomo e non di bestia, ed assai dilicatamente vivere, sí come noi fiorentini viviamo; vedevano ancora la casa e la masserizia mia, secondo la misura della possibilitá mia, splendida assai. Vivono molti di questi, ed insieme meco nella vecchiezza cresciuti, in degnitá sono venuti. Non voleva, se io avessi potuto, che, volendo essi continuare l’amicizia, che eglino m’avessono veduto disorrevolmente vivere a modo di bestia e che ciò avvenire per mia viltá