tacito ragguardò. Volesse Dio che almeno una delle lagrime da Cesare concedute al morto Pompeo avesse date, poi che esso vedeva quello che e’ desiderava: forse che arei creduto per pietá dell’indegna trattagione essere suta conceduta, e piú lungamente m’arebbe potuto schernire. Stava nel conspetto di coloro che venivano, tratti dalla fama de’ libri, il diffamato e servile letticciuolo, non sanza molto rossore della faccia mia: ma della mia vergogna Dio ebbe misericordia. Entrò per ventura in quello luogo un giovane napolitano di sangue assai chiaro, il quale, ricordandosi dell’amicizia vecchia, venne per visitarmi. Questi, poi che visitato m’ebbe, come vide quello letto da cane, crudeli bestemmie sopra del capo tuo e del tuo Grande cominciò a pregare: con parole accese d’ira dannava maladiceva e bestemmiava la miseria e l’inconsiderata smemoraggine d’ambedue voi. L’impeto di cui poi che con piacevoli parole io ebbi pacificato, immantanente salito a cavallo volò a Pozzuolo, dove allora a caso era l’abitazione sua, ed uno splendido letto con guanciali mi mandò, acciò che, ragguardato il letto, dalle cose di fuori io non paressi di piú vile condizione che l’amico mi giudicasse: e non cade del petto mio con che torti occhi tu ragguardassi quello. Ma di questo altrove mi sfogherò. Venne da poi il dí che questo tuo cosí memorabile uomo ed amico delle Muse richiamò a Napoli le femmine sue, le quali a Tripergole molti dí festevoli erano sute; e perché di tuo ufficio era, non guattero, non fanticello alcuno vi rimase, che tu, apparecchiate le bestie perché il mare era tempestoso, noi facessi con le sue cose portare. A che dico io molte cose? Tutte le masserizie furono portate via, infino ad un sedile di legno ed uno orciuolo di terra: io solo, con la soma de’ libri miei, fui nel lito lasciato insieme col fante mio, sanza le cose necessarie al vivere e sanza niuno consiglio. Tu sai meglio di me che quivi non era taverna, non amici alle case de’ quali io potessi diporre le cose mie e pigliare il cammino a piè; niuna cosa era quivi da vendere né utile al vivere, se tu non ve ne porti: per la qual cosa io fui constretto a fare un lungo digiuno, e, quello che m’era gravissimo, io era quasi un giuoco da ridere ad ognuno vedendomi andare intorno al lito. Finalmente, poi che due dí gli occhi rivolti pel mare ed alcuna volta pel cammino di terra aspettando ebbi affaticati, vennono mandati da te che le mie cosette portarono a Napoli, e nella sentina del tuo Grande, se io vi fussi voluto tornare. Né m’uscirá mai di mente mentre che io viverò, perché tra noi mi sia doluto,