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EPISTOLARUM QUAE SUPERSUNT



costume chi non arebbe in orrore? chi nol temerebbe? È egli niuna sí crudele barbaria, nella quale non sia l’amicizia con alcuna pietá onorata? Indarno gli esempli degli uomini grandi leggiamo, anzi dannosamente, se noi operiamo il contrario. Questo non insegna quello Valerio, al quale il tuo Mecenate spesse volte usò dire che egli è familiarissimo. E’ si doverebbe ricordare, Marco Marcello avere date le lagrime all’infelicitá de’ siragusani, e da queste pigliare, se a’ nimici dagli uomini chiari sono date, quali sieno dovute agli amici. E similmente la laudevole opera d’Alessandro di Macedonia re doverebbe a memoria rivocare, al quale vincitore d’Asia, stante la gelida neve, parve agevole discendere della reale sedia, la quale era presso al fuoco, ed in quella avere posto con le proprie mani un soldato de’ minori e vecchio, giá pel troppo freddo mancante, acciò che l’agio del fuoco sentisse. Certamente per la clemenzia nella fede e nel servigio si solidano gli animi degli amici e adumiliansi quelli de’ nimici, dove per la bruschezza e negligenzia quelli degli amici si partono. Oltre a questo, sono a lui leggi, non so se date da Foroneo o da Ligurgo o da Cato, per le quali avviene che, se alcuno che con lui muoia ha alcuno avere, nonostante alcuno testamento, esso solo ereda si fa, schiusi ancora i creditori, se alcuni ne sono; affermando, pure che la necessitá il richiegga, dovere avere molto dal morto, benché esso ancora debba dare al sepolto. Oh! che paura ebbi io giá di queste sue leggi dagli Appii o da’ Catoni, da’ Lelii o dagli Ulpiani non conosciute! Ha, oltre a questo, un costume grave e fastidioso, il quale io, benché manifestissimo sia a tutti, nondimeno ad uno altro non lo scoprirei che teco: e perché se’ amico e perché ogni cosa t’è nota, fedelmente il dirò in pruova. Spessissime volte egli se ne va nel conclavio, e quivi, acciò che e’ paia che egli abbia molto che fare della gravitá del regno, posti, secondo l’usanza reale, portinari all’uscio della camera, a niuno che il domandi è conceduta licenzia dell’entrare. Vengono molti, ed alcuna volta de’ maggiori; empiono il cortile dinanzi alla porta e con bassa voce domandano copia di parlare. Che risposte sieno date dagli ammaestrati portinari, è cosa da ridere. A molti dicono, lui avere consiglio con alquanti; ad altri, lui dire il divino ufficio; ad altri, lui, faticato intorno alle cose publiche, pigliare un poco di riposo, e simili cose: con ciò sia cosa che nulla al postutto faccia, se non forse quello che per addietro fu detto di Domiziano Cesare, che desiderava, quelle medesime cose che lui, si dicessono: cioè che con lo