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XII. - A FRANCESCO NELLI



stile feriva le mosche; o vero che io creda piuttosto, però che (benché io non sia de’ suoi camerieri e non voglia essere, nondimeno conosco i costumi di camera) che in guarderobba per suo comandamento si poneva una seggiola, che quivi, non altrimente che nella sedia della sua maestá, vi siede, e, stando dintorno le femmine sue, veramente non puttane, che troppo disonesto parrebbe, né sirocchie né parenti né nipoti, intra’ troppo discordevoli romori del ventre ed il cacciare fuori del puzzolente peso delle budella gran consigli si tengono ed i propri fatti del regno si dispongono, le prefetture si disegnano, a bocca si rende ragione, ed a’ re del mondo ed al sommo pontefice ed agli altri amici si dittano e scrivono e correggono lettere, i lusinghieri ed i greculi insieme con le femmine sue approvanti; credendosi gli sciocchi, che aspettano nella corte, che egli, ricevuto nel concestoro degl’iddii, insieme con loro dello stato universale della republica tenga solenne parlamento. O pazienzia di Dio grande! che dirai qui? Col tedio del lungo aspettare uccide coloro a’ quali poteva con poche parole o con la sua presenzia satisfare. Io mi ricordo, spesse volte e molto piú agevolmente, ed al sommo pontefice ed a Carlo Cesare ed a molti principi del mondo avere avuta l’entrata, e copia di parlare essermi conceduta, che appresso costui per piú ore, ponendo giú il peso del ventre, molti nobilissimi uomini, per non dire degli altri, non poterono avere: veramente cosa abominevole ed intollerabile troppo. Ed e’ non è dubbio che egli non acquisti l’odio di molti, la grazia de’ quali poteva meritare: però che, mentre che esso crede, all’usanza antica de’ re di Persia, per fundere se stesso dagli occhi degli amici o vero di lui bisognosi, ampliare la maestá del suo nome, guadagna l’indegnazione di molti, la quale di plebei ancora a’ grandissimi re nocette. Ed e’ non è cosa di savio credere, con questo suo stomacoso furarsi, ingannare coloro che aspettano. Veggono alcuna volta ancora de’ minori, con l’occhio del lupo cerviere, quello che dentro alle camere di tali quale è esso, si faccia. Ma finalmente, poi che lungamente ha uccellato coloro che l’addomandano, ed a se medesimo tedioso giá fatto, aperte le porti, esce in publico con la fronte ripiegata e con grave ciglio, sospirando, con gli occhi levati qua e lá guardando. Volgonsi nella faccia di lui uscente fuori gli sventurati, con umili voci di lagrime e di dolore impedite addomandando che a loro sia fatta ragione: ma egli, come occupato in grandissimi pensieri, s’infigne, se il fatto non gli piace, non avere udite le

G. Boccaccio, Opere latine minori.
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