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XII. - A FRANCESCO NELLI



cose, e lieto, rimosso i supercigli gravi, con piacevole favella visiterebbe ciascuno; la qual cosa, però che egli è a se stesso uscito di mente, schifa di fare. Io, al quale gravissimi sono questi costumi, acciò che piú oltre non fussi del nocevole peso aggravato, partire mi dispuosi, ed a dare alla disposizione opera non indugiai, acciò che io l’ingiuria dello stomaco e la paura dell’animo ponessi giú. Temetti ancora, e molto temetti, che agli omeri miei non ponesse il peso del suo grandissimo desiderio, cioè di scrivere le gran cose le quali si crede, o vuole si creda per altri, lui avere fatte. Io m’era giá avveduto dinanzi che egli il desiderava, ed assai m’avvidi, per altro non essere chiamato. È in lui, sí come io potei comprendere, cupiditá si grande di nome e di fama lunga, che niuna cosa è maggiore; e posto che ottimamente io sappia per qual via a questo si pervenga, niuna cosí fatta notizia è a lui: certo e’ si stima per li costumi suoi e per gl’inganni venire in quella, e con li beni della fortuna, e non con sua operazione, pigliare lei. Certamente egli è ingannato; nondimeno e’ non è sí sciocco che nol conosca: ma vorrebbe uno che, con bugie colorate, in quella, scrivendo, lui menasse, la qual cosa arebbe il suo Coridon fatta, se vivesse. Ma piú duro sarebbe a confortare me a scrivere contra la veritá cose alcune; di che però che avvedere si potè, penso che io gli sia suto meno caro, ed in pruova di vane promesse uccellato. Io udii, e credo che sia vero, essergli dato a credere dal suo Coridon, uomo lusinghiere, il quale egli quasi l’oracolo d’Apollo delfico onorava, con queste opere massimamente potere gli uomini farsi nomi perpetui: con l’arte dell’armi, con fare degli edifici, con la notizia delle lettere; e con tanta forza di parole avere ciò sospinto nel petto suo, che mai da lui questa oppinione svegliere non si potesse: e non era dannevole, però che, se largamente a tutte o almeno ad una avesse data opera, forse che e’ sarebbe venuto colá dove e’ desiderava. Ma che è? e’ fu mortale; pure che e’ vivuto fusse, dicono alcuni, lui a lui credulo arebbe dimostrato con non so che ragioni che egli è sommo in tutte e per questo degno di perpetua fama, se i fatti suoi per lettere fussono commendati. Però che chi è di sí forte petto, che agevolmente non creda quello che e’ desidera? Con ciò sia cosa che, eziandio sanza confortatore, molti al suo medesimo giudicio diano fede. Che male è questo che è cosí intorno a noi medesimi, i quali meglio conoscere dobbiamo? Siamo ingannati tutti. Ma tu dirai: — E’ non è cosí; per estimazione di molti si