a me a ragione non può, e se a torto il fará, io userò la sentenzia di Marco Castrizio detta da sé a Gneo Carbone consolo: «Se al grande sono molte coltella, ed a me certamente sono altrettanti o forse piú anni». In gran gloria pel sangue mio non entrerá; guardisi piuttosto che non entri in infamia che spegnere non si possa, se alcuna cosa ardirá contra me. Se io sarò offeso per dire la veritá, tornerá in alto il nome dell’offeso: ma sanza fallo, se dell’offendente sará alcuno lume, il rivolgerá in nebbia. Se Dio sará a me aiutatore, non temerò che mi faccia l’uomo. Ma a tornare, come tu mi conforti, niuno animo ho, niuno pensiero né desiderio, quantunque maggiori cose che le prime mi prometta: poi che di questo senno sia, meglio essere sperare quello che è buono, che sanza sperare tenere quello che non è buono. Due volte da queste promesse ingannato, due volte tirato invano, due volte è suta superchiata la pazienzia mia dalla sconvenevolezza delle cose e da vane promesse, e constretto a partirmi. Posso, se io voglio, assente ora sperare bene del tuo Mecenate; non voglio venire la terza volta, acciò che presente non senta male di lui e di me. In buona fé, che, se io fussi cosí volatile che la terza volta chiamato io tornassi, a niuno dubbio sarebbe di me argomento di leggerezza certissimo a te ed agli altri a’ quali fu grave avere veduto me schernito da te e dal tuo Grande. E nondimeno, se la necessitá mi constrignesse non avere alcuno refugio se non al tuo Mecenate! Per la grazia di Dio ne sono piú; i quali se mancassono tutti, credo che sia migliore consiglio ad uscio ad uscio addomandare il pane che tornare al tuo Mecenate. Tua adunque e sua sia quella splendidissima sentina con la quale volle che io fussi della sua felicitá partefice. Lui non avere creduto che io mi sia partito, è bugia: egli il credette e grazioso gli fu, però che, come s’addiede che io non voleva scrivere favole per istorie, immantanente a lui odioso fui; e quantunque egli dica che e’ desidera che io torni, tu se’ ingannato se lo credi. La compagnia e gli onori suoi, i quali quando non mi può dare dice che era per darmi (ma cosí magnificamente!), conosco ottimamente: e, se nol conoscessi, te giudicherei sciocco. Siensi suoi. Io con grandissimo onore mi penso essere tornato, poi che fatto è che partito mi sia da lui; la qual cosa il nostro Silvano sommamente commenda, e piange la sciocchezza del suo Simonide. Per la qual cosa, se io non credessi lui dovere scrivere, sarei proceduto in piú lungo parlare. E per venire quando che sia al fine, io tengo di certo, alla breve