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v. gli esemplari postillati e le «notae»


ineunte adolescentia», del padron di casa, restato sin dall’infanzia orfano di padre, lo aveva erudito via via nella grammatica, nell’umanitá e nella filosofia, non senza avvalersi poi della cooperazione dei piú reputati versificatori napoletani e di altre parti d’Italia per farsi raccoglitore e curatore di un’elegante miscellanea poetica, allorché quel suo discepolo prediletto passò a nozze, precisamente nel 1721, con Maria Vittoria Caracciolo dei marchesi di Sant’Eramo[1]. Che anzi, quasi ricordo delle sue ultime lezioni di filosofia, proprio in quella miscellanea il medesimo Vico aveva inserito, col titolo Giunone in danza, un lungo polimetro[2], nel quale, anticipando in qualche guisa i Canones mythologici delle future Notae[3], aveva esibito una nuova interpretazione dei miti relativi ai dodici dei maiorum gentium, ispirata, non piú al criterio vossiano, ossia naturalistico, a cui, pur con notevoli varianti, egli era restato ancora aderente nel De constantia, bensí a un criterio rigidamente storico e sociale, per cui quei miti diventavano nient’altro che storie ingenue e immaginose dei primi passi compiuti dall’uomo nel cammino della civiltá e, in pari tempo, delle fiere lotte sociali che, sin da allora, come sempre e dovunque, avevano accompagnato quel progresso civile. Né, d’altra parte, sembra che il discepolo fosse indegno dell’affetto e della stima di tanto maestro. A differenza di altri giovinetti di nobili famiglie affidati alle cure del Vico e che, sottrattisi appena alla ferula del pedagogo, preferivano a quella di Platone, Tacito, Bacone e Grozio la compagnia di automedonti e di etère, il Filomarino non doveva amare l’ozio, dal momento che documenti contemporanei lo mostrano partecipe, nella misura limitata allora possibile, alla vita politica cittadina e personaggio influente alla corte del viceré D’Harrach e poi del re Carlo di Borbone, che dal 1738 al 1740 gli affidò la piú importante delle ambasciate napo-

    terza, 1923), p. 1 sgg., che dá una compiuta storia del palazzo (sito in via Trinitá Maggiore, n. 12). Per qualche altra notiziola, F. Nicolini, L’arte napoletana del Rinascimento e la lettera di Pietro Summonte a Marcantonio Michiel (Napoli, Ricciardi, 1925).

  1. Su quella miscellanea vedere Autobiografia, ed. cit., p. 59, e cfr. F. Nicolini, Appendice al secondo supplemento della Bibliografia vichiana di B. Croce (Napoli, 1910), pp. 48-50.
  2. Vedilo in Poesie varie, ed. cit., pp. 318-45.
  3. Cfr. presente edizione, p. 739 sgg.