del resto, se avesse ben riflettuto, gli sarebbe parso, quale è, inattuabile, dal momento che, tra le Notae, non c’è, e non ci poteva essere, «aggiunta» che non sia al tempo stesso «rettificazione», e «rettificazione» che non sia insieme «aggiunta». Il Ferrari, invece, adottò il criterio, meramente empirico, d’intercalare nel testo, e senza alcun segno o avvertenza che le distinguesse, quelle non molte notae per le quali la cosa era possibile senza urtare troppo contro la sintassi, e di dare le altre tutte, quale che ne fosse l’argomento e l’estensione, in carattere piccolissimo, in altrettante note a piè di pagina. Da che, oltre gl’inconvenienti giá mentovati, anche quest’altro: che a piè di pagina si alternano nel medesimo carattere: a) i loci (o rimandi) aggiunti dal Vico nel De uno e nel De constantia, b) la maggior parte delle giunte, correzioni e dissertazioni contenute nelle Notae, c) talune annotazioni dilucidative o esornative di esso Ferrari, redatte anch’esse in latino e prive della sacramentale abbreviazione «[Ed.]». Certamente ai primi precedono numeri arabi — (1), (2), (3), ecc.,— alle seconde lettere alfabetiche — (a), (b), (c), ecc. — e alle terze asteristichi — (*), (**), (***), ecc.: — onde un lettore che non si distragga mai ha modo di distinguere. Ma siffatte distinzioni non furono serbate sempre nelle ristampe (specie in quella napoletana del Pomodoro), col curioso risultato che si è condotti piú d’una volta non solo a scambiare «loci» e «notae», ma altresí ad attribuire a Giambattista Vico la prosa, alquanto meno profonda e alquanto meno elegante, di Giuseppe Ferrari.
Ciò premesso, apparirá, io credo, legittimo in sede critica e opportuno in sede pratica il criterio storico a cui s’è ispirata la presente riedizione, e ch’è stato, naturalmente, di ripubblicare l’intero Diritto universale cosí come lo era venuto pubblicando via via il Vico, e cioè di dare nel primo volume (al quale s’è premessa la Sinopsi) il De uno, nel secondo il De constantia, nel terzo le Notae.
Con che non si vuol dire che questa sia una riproduzione diplomatica o, ch’è poi lo stesso, una ristampa materiale dell’edizione originale. Per contrario, diversamente da tutti i miei predecessori, che lasciarono inalterate la grafia e l’interpunzione vichiane, ho cominciato col conformare la prima alle norme della presente collezione e col sopprimere, al tempo stesso, quel continuo alternarsi di caratteri «tondi», «corsivi» e «maiuscoletti» o «MAIUSCOLI», che, sebbene in misura men fastidiosa che non nelle