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Giambattista Vico, nel principio del mese di marzo del presente anno 1720, ha, in Napoli, dato alle stampe di Felice Mosca un’opera latina in un volume in quarto, divisa in due libri — il primo intitolato De uno universi iuris principio et fine uno: il secondo, De constantia iurisprudentis — ne’ quali travaglia stabilire un principio nel quale tutta l’erudizione divina e umana costí dimostrata.

E, poste due definizioni — una del vero, che sia «quod rerzim ordini conformatur», altra del certo, che sia «conscientia dubitandi secura» — e presi come lemmi cinque sole veritá metafisiche, dimostra che dall’ordine, per l’ordine e nell’ordine delle cose l’uomo conosce il vero di quelle, e che perciò l’idea dell’ordine ci dimostri tre cose:

1. Dio essere,

2. esser mente infinita,

3. che cosí in noi, delle scienze, come da esso, per esso e in esso, sono i principi delle cose.

Quindi ragiona della natura di Dio, che sia «nosse, velle, posse infinitum», dal che dimostra la natura dell’uomo, che sia «posse, velie, posse finitum, quod tendat ad infinitum». Da ciò dimostra i principi della storia sacra:

1. Adamo creato da Dio,

2. di natura intiero,

3. per sua colpa corrotto;
e, in conseguenza, dimostra i principi della teologia cristiana.

Per tutto ciò ferma che ’l piacere, che, perché naturale, aveva l’uomo intiero di contemplare l’eterno vero, cangiossi