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Pagina:Vico, Giambattista – Il diritto universale, Vol. III, 1936 – BEIC 1961890.djvu/179

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I

LA PREISTORIA DEL «DIRITTO UNIVERSALE»

Non è qui il luogo di tentar di diradare la nebbia di cui è circonfuso quel mirabile sforzo di pensiero, per cui, intorno al 1716, il Vico seppe passare dall’ancora ibrida, immatura e, qua e lá, cartesianeggiante filosofia del De antiquissima italorum sapienza alla grande e originalissima filosofia del Diritto universale e delle due Scienze nuove[1]. Giova piuttosto ricordare che prima manifestazione nota, ma purtroppo dispersa, di codesto nuovo orientamento furono talune postille al primo e a parte del secondo libro del De iure belli et pacis di Ugo Grozio, cominciate a stendere press’a poco nel 1717, ma poi intermesse «sulla riflessione che non conveniva ad uom cattolico di religione adornare di note opera di auttore eretico»[2]. Continuò bensí il Vico a meditare e raccogliere una mole sterminata di fatti particolari (sistemati poi non solo nel Diritto universale e nelle due Scienze nuove a stampa, ma anche e forse sopra tutto nella dispersa Scienza nuova in forma negativa e nelle egualmente perdute Annotazioni alla Scienza nuova prima), finché, sembratogli giunto il momento di comunicare agli studiosi i capisaldi della sua nuova filosofia, li espose, il 18 ottobre 1719, in una prolusione universitaria dal titolo: Omnis divinae atque humanae eruditionis argumenta tria: nosse, velle, posse, quorum principium unum mens,

  1. Cfr. per ora il settimo paragrafo dei miei Brevi cenni della vita e delle principali opere del Vico, premessi alla prima parte de La filosofia di G. B. Vico, passi da tutte le opere, coordinati e illustrati a uso delle scuole medie e delle persone colte (Firenze, Sansoni, s. a., ma 1936), pp. 13-7.
  2. Vico, Autobiografia, carteggio e poesie varie, ediz. Croce e Nicolini (volume V della presente raccolta delle Opere), p. 39.