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10 novembre 1759[1]. E il Ventura appunto, riprendendo il discorso al punto ove l’aveva lasciato l’Argento, diè al Vico, che ne lo ripagò a usura col dedicargli i due volumi anzidetti, l’eccellente consiglio così di ampliare in un lavoro di lungo respiro le premesse teoriche troppo compresse nella prolusione, come di non volere piú sottintendere, anzi di ragionare singolarmente, le innumeri conseguenze, sopra tutto storiche, derivanti dai principi fissati nella prolusione stessa[2]. Sicché, quasi rebus ipsis dictantibus, il filosofo napoletano si trovò condotto a lavorare, nello scorcio del 1719, a quell’una, fra le tante redazioni della futura Scienza nuova, che si suole indicare col titolo comprensivo, e giá adottato, brevitatis caussa, dal medesimo autore[3], di Diritto universale.

Non è da credere, tuttavia, che dalla prolusione alla stesura definitiva di questo vi fosse passaggio immediato. Per contrario, tra l’una e l’altra s’interpose un abbozzo o fors’anche semplice schema, di cui si conosce, sì, ch’era ripartito in tre libri, corrispondenti per materia alle tre parti della prolusione, ma del quale non s’è salvato altro che un foglio volante contenente un’avvertenza finale Ad aequanimos lectores. Quella appunto che, col titolo, forse non troppo appropriato, di Commiato d’un’opera d’incerto titolo anteriore al 1720, è stata ristampata nel primo volume della presente raccolta delle Opere[4].


  1. Notiziario ragionato del Sacro Regio Consiglio e della Real Camera di Santa Chiara (Napoli, 1802), p. 74.
  2. Presente edizione, pp. 25-6.
  3. Autobiografia, ed. cit., pp. 45, 72-3.
  4. G. B. Vico, Le operazioni inaugurali, il De italorum sapientia e le polemiche, a cura di G. Gentile e F. Nicolini (Bari, Laterza, 1914), pp. 297-8.