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Pagina:Vico, Giambattista – Il diritto universale, Vol. III, 1936 – BEIC 1961890.djvu/181

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i. la preistoria del «diritto universale»


inoltre, in quei suoi ultimi anni di vita, a pratiche di devozione[1], pare guardasse la produzione scientifica del clericaleggiante lettore di rettorica nell’Universitá napoletana con occhio meno ostile di quello dei parecchi anticurialistici (e talora liberopensanti) giureconsulti napoletani del tempo. Giacché, presenti tutti quei censori, affermò, per contrario, che il Vico aveva saputo trattare il tema da «orator», da «philosophus» e da «iurisconsultus»[2]: complimento generico che, veramente, non diceva gran cosa; ma che il Vico, uso a rendere molto piú profonde, e quindi molto piú elogiative, le non troppe parole di encomio che gli capitò di raccogliere lungo tutta la sua vita, s’affrettò a interpretare nel senso che, nella prolusione, la filologia o cognizione delle res particulares, peculiari agli oratores, fosse stata effettivamente «inverata» o universalizzata dalla filosofia e, per questo fatto medesimo, elevata a principio informatore della giurisprudenza. Anzi, mentr’egli, non senza compiacimento, ripensava tra sé e sé a codesta sua interpretazione di quell’elogio, trovando in esso quasi un incentivo a riaffrontare in un’opera di ben altra mole quella sua riduzione della filologia a scienza o conversione della storia nella filosofia, non gli mancò, nella stessa giornata, un altro stimolo esterno ad attuare questo ch’era giá un proposito ben definito. Secondo era sua abitudine, si recò anche quel giorno a una di quelle periodiche adunanze letterarie che sin dal 1702 teneva in casa propria Francesco Ventura[3]: un nipote dell’Argento, che, avvalendosi della protezione dello zio e barcamenandosi sapientemente tra preti e mangiapreti[4], era giá allora, com’è detto nei frontespizi del De uno e del De constantia[5], «a regis consiliis et criminum quaestor alter», ossia consigliere del Sacro Real Consiglio e caporuota della Vicaria criminale, e seppe poi ascendere via via alle cariche, sempre piú alte, di reggente del Collaterale (1725), caporuota del Sacro Real Consiglio e consigliere della Real Camera di Santa Chiara (1735) e presidente del Supremo Tribunale di Commercio (1739), nella quale ultima morì, onusto d’anni, il

  1. Giannone, Vita scritta da lui medesimo, ediz. Nicolini (Napoli, Pierro, 1905), pp. 87-8, 180-4.
  2. Diritto universale, presente edizione, p. 25.
  3. Giannone, Vita, p. 41 sgg.
  4. Giannone, Vita, p. 181 sg.
  5. Cfr. presente edizione, pp. 23 e 265.