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Pagina:Vico, Giambattista – Il diritto universale, Vol. III, 1936 – BEIC 1961890.djvu/184

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nota


d’aver saputo da Napoli che l’opera mostrava bensí «l’ingegno e l’erudizione» del Vico, ma, insieme, «la sua stravaganza». E, cominciatasi a divulgare la Sinopsi, soggiungeva (20 luglio) d’aver sentito ch’era «un lavoro imbrogliato e fantastico bene, com’è il cervello» dell’autore, il quale aveva voluto «cominciare dove gli altri vanno a finire». Da che si vede che giá dall’apparizione della Sinopsi prendesse a formarsi in Napoli la leggenda, culminata otto anni dopo, che il Vico, «per ipocondria e per soverchio fissar nei suoi studi metafisici», fosse «impazzito»[1].

Leggenda maligna e in cui non è altro fondamento di vero se non che il filosofo napoletano aveva ingegno troppo alto da adottare la communis opinio quale costante e unica norma di giudizio, e che il volgo profano, anche se letterato, ha sempre considerato «pazzi o, con vocaboli alquanto piú civili, stravaganti o d’idee singolari»[2] coloro che abbiano l’abitudine pericolosa di non pensare con l’intelletto altrui. Tuttavia sta in fatto che — giá di lettura oltremodo faticosa pel troppo fitto e minuto carattere tipografico (una sorta di «corpo sei» senza interlineo) — la Sinopsi, nel suo non riuscibile e non riuscito tentativo di condensare in così piccolo spazio centinaia di difficili considerazioni filosofiche e storiche, appare, anche oggi, così poco comprensibile a chi non abbia lunga consuetudine con le dottrine vicinane, da dover pure suscitare allora, in lettori ignari e poco ben disposti, se non a dirittura mal prevenuti, l’impressione di sogni deliranti d’un cervello malato.

Si spiegano, pertanto, le accoglienze, tutt’altro che oneste e liete, ch’essa ebbe così presso i non pochi conoscenti napoletani dell’autore, come presso i parecchi «letterati d’Italia e d’oltremonti»[3], a cui venne distribuita o inviata. Senza dubbio, in una lettera al padre Giacco, scritta qualche giorno dopo la comparsa di quel «mezzo foglio di carta»[4], cioè in un tempo in cui il

  1. Così in una lettera del conte Giovanni Artico di Porcia al Muratori del 16 luglio 1728 (riferita, con altre sul Vico, da T. Sorbelli, Documenti delle relazioni tra il Vico e il Muratori, in Giorn. st. d. lett. ital., CVI, 291-5); e cfr. G. F. Finetti, Difesa dell’autoritá della Sacra Scrittura contro G. B. Vico (1768), ediz. Croce (Bari, Laterza, 1936), p. 25. Alla sua fama di «pazzo» accenna del resto, e con parole molto sagge, il medesimo Vico nell’Autobiografia (ed. cit, p. 78).
  2. Autobiografia, l. c.
  3. Autobiografia, p. 41.
  4. Quella dei 14 luglio 1720, giá ricordata.