povero Vico poteva o voleva nutrire ancora qualche illusione, egli dice che quel manifesto aveva prodotto «nell’una parte e nell’altra», cioè in senso laudativo e in senso biasimativo, «de’ grandi movimenti in questa cittá». Ma nell’Autobiografia[1], lavorata cinque anni dopo, e quindi con maggiore pacatezza storica, il medesimo Vico, senza punto accennare a lodatori napoletani di sorta, si contenta di raccontare che, della Sinopsi, alcuni, in Napoli (cioè, con molta probabilitá, Nicola Capasso, Giovanni Acampora, Pietro Giannone, non ancora esule a Vienna e intento a dar l’ultima mano all’Istoria civile, e, in genere gli anticurialisti, tutti piú o meno cartesiani o cartesianeggianti), «diedero giudizi svantaggiosi», salvo poi a non sostenerli dopo che uscì il De constantia, adorno «di giudizi molto onorevoli di letterati dottissimi»[2]. E, quanto agli studiosi «d’Italia e d’oltremonti», dei due soli di cui si conosca che discutessero il manifesto vichiano, l’uno, ossia il barone vestfalo Luigi von Gemmingen, che lo ebbe tra mano durante una sua dimora a Roma, pur riconoscendo che quel «disegno di libro» dava «molto piacere» per le «molte cose belle e curiose» che prometteva, lo trovava, appunto perché ancora mero disegno, non suscettibile di giudizio critico[3]; e l’altro, vale a dire Anton Maria Salvini[4], non fece altro, da quel purus grammaticus che era, che confutare la troppo fantasiosa etimologia vichiana di «Areopago» e derivati.
Comunque, dopo la pubblicazione del De uno e, ancora piú, del De constantia, della Sinopsi, divenuta giá da allora una raritá bibliografica, si finÌ col dimenticare persino L’esistenza. Ne risorse bensí, e sempre piú vivo, il desiderio tra i «vichiani» della prima metá del secolo deciMonono; né Giuseppe Ferrari, nell’accingersi a curare la sua prima raccolta delle Opere del Vico (1835-7), omise di ricercare quell’introvabile foglio volante, salvo poi, sfiduciato,
- ↑ Ed. cit., p. 41.
- ↑ Su questi giudizi Cfr. il § IV della presente Nota.
- ↑ Vedere la sua lettera del 31 agosto 1720 al padre Tommaso Maria Alfani, in Vico, Carteggio, ed. cit., pp. 151-2. Cfr. altresí Autobiografia, p. 41, in cui il Vico, fraintendendo un passo di codesta lettera, racconta che il Gemmingen gli «portò» obiezioni filosofiche alla Sinopsi da parte di Ulrico Huber, morto sin dal 1694, e di Cristiano Tomasio, ancor vivo nel 1720 (morì nel 1728), ma di cui il Gemmingen si limita a citare teorie apparse giá in libri a stampa.
- ↑ In una lettera a Francesco Valletta andata dispersa. Cfr. Vico, Autobiografia, p. 41; nonché Diritto universale, presente edizione, pp. 452-5.