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Pagina:Vico, Giambattista – Il diritto universale, Vol. III, 1936 – BEIC 1961890.djvu/211

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v. gli esemplari postillati e le «notae»


notevole di pensiero, che il lavoro a cui attendeva, pur continuando a essere, nelle intenzioni dell’autore e nella veste estrinseca, mera accessione al Diritto universale, si trasformò, nell’intrinseco, in un’opera per sé stante e molto piú vicina, quanto a orientamento generale, alla futura Scienza nuova prima che non, malgrado i suoi pochi mesi di vita, al De constantia.

Stando così le cose, sarebbe stato certamente meglio che il Vico, risolvendosi sin da allora a ciò che pur fece l’anno dopo, avesse riscritto da cima a fondo l’intero Diritto universale. Senonché un’idea siffatta, facile a sorgere nella mente di noi posteri, che conosciamo intera la sua produzione scientifica posteriore, poteva balenare e, comunque, sorridere tanto meno a lui, in quanto avrebbe importato il coraggio, ch’egli non avrá se non nel 1731, di rifiutare un lavoro che gli era costato il meglio di se medesimo. Ricorse pertanto alla medesima soluzione ibrida che caratterizzerá i trapassi così dalla Scienza nuova prima (1725) alla seconda (1730), come dalla seconda all’ultima (1744), e rappresentati il primo dal grosso manoscritto delle disperse Annotazioni alla Scienza nuova prima (1727-9), l’altro — prescindendo dalle brevi Correzioni, miglioramenti e aggiunte prime e seconde (1730) — dai due non brevi manoscritti delle esistenti Correzioni, miglioramenti e aggiunte terze e quarte (1731-3)[1]. Lasciò, cioè, in piedi il De uno e il De constantia, né tolse alle Notae l’aspetto estrinseco di mere giunte e correzioni al giá detto: tuttavia, da un lato, procurò, non senza qualche distrazione, di adattare al suo nuovo orientamento quelle giá pronte, e, dall’altro, prendendo piú pretesto che occasione da questa o quella frase del Diritto universale, non si contentò soltanto di aggiungerne molte altre nuove, nelle quali si risente, attraverso i continui riferimenti omerici, la sua rilettura dell’Iliade e dell’Odissea, ma intercalò, alle note propriamente dette una dozzina di escorsi, i quali, sia per estensione (taluni, lunghi decine di pagine, sono a dirittura suddivisi in capitoli e paragrafi), sia per argomento (vale a dire perché, non semplici illustrazioni di punti particolari, ma nuovo svolgimento di principi fondamentali dell’opera), non sono piú mere Notae, ma vere e proprie Dissertationes. Sorsero cosí quelle, a volte bellissime, sull’origine dei feudi, sull’inospitalitá dei po-

  1. Cfr. la Nota bibliografica al IV volume della presente raccolta delle Opere.