poli primitivi, sulla natura eroica o vero eroismo, sui re e sui regni primitivi e via enumerando — questioni tutte che riappariranno, con piú ricchi svolgimenti, nell’ultima Scienza nuova; — e sorsero segnatamente le due, piú lunghe e mirabili, sulla poesia omerica e sui canoni mitologici per la ricostruzione della storia del tempo oscuro: quella, rifusa, con tagli e ampliamenti, nel terzo libro della seconda Scienza nuova, ossia nella Discoverta del vero Omero; questa, larghissimamente amplificata nel secondo, vale a dire nella Sapienza poetica.
Che per apprestare il manoscritto di codesto nuovo lavoro fossero sufficienti al Vico poco piú di una ventina di giorni non maraviglierá chi ricordi che a scrivere da cima a fondo la prima Scienza nuova gliene bastarono poco piú di trenta, e poco piú di cento per mettere insieme le circa cinquecento fittissime pagine della seconda. Comunque, officiati il 5 e 6 luglio 1722 la Curia arcivescovile e il Collaterale perché gli assegnassero quali censori i soliti Torno e Galizia, si diè a stampare, nello stesso formato del Diritto universale, ma in carattere piú piccolo, questo volume supplementare di Notae. Il quale, riuscitogli di ottantaquattro pagine numerate, piú sei innumerate in principio — consacrate al frontespizio, alla dedica e a un errata-corrige di errori meramente tipografici dei primi due volumi — fu pubblicato dopo il 13 agosto, data dell’imprimatur del Collaterale[1].
Una sola correzione autografa l’autore appose nei margini dell’esemplare in carta distinta che tenne per suo uso[2]: temperanza che si spiega quando si pensi al gran da fare che gli diè, di lí a poco, il suo disgraziato concorso universitario del 1723[3], e alla circostanza che, subito dopo, egli si consacrò toto animo alla Scienza nuova in forma negativa, che annullava di fatto Sinopsi, De uno, De constantia e Notae[4]. Pure, prima di separarsi definitivamente da un lavoro che, nelle sue varie redazioni (dal commento a Grozio alla Notae), gli aveva preso sei anni d’intensissima vita spirituale (1717-22), volle — mi si consenta l’immagine funebre — comporlo in decorosa sepoltura, aggiungendo alla Sinopsi una carta manoscritta di «appendice di correzioni» o,