meglio, di adattamenti alle nuove vedute delle Notae;[1] aggiungendo nei margini del De uno e del De constantia qualche altra correzioncella tipografica o di mera forma, che si distingue da quelle precedenti alla stampa delle Notae dal diverso colore dell’inchiostro; aggiungendo a tutto il De uno, ma soltanto a una piccola parte del De constantia, rimandi marginali ai luoghi correlativi delle Notae; aggiungendo alle Censurae extra ordinem quella che nelle sue intenzioni sarebbe dovuta essere una nuova serie di Aliae virorum clarissimorum epistolae ineditae, ma che in effetti si limitò alla sola lettera del Garofalo giá mentovata; aggiungendo, infine, otto facciate autografe di Mendorum ab typis literariis emendationes, in cui, non senza qualche omissione dovuta a distrazione e qualche lapsus proprio nell’emendazione dell’errore antico, rifuse, con molte aggiunte, cosí l’errata-corrige a stampa premesso alle Notae, come le correzioni a penna segnate nei margini dei due volumi. Per ultimo, fatto rilegare tutto codesto materiale in un unico tomo, lo tenne presso di sé sino al 1735: anno in cui, come curò d’avvertire egli stesso in un’ultima postilla autografa, lo donò in Napoli a un F. A. Gervasi. Dal Gervasi il volume o piuttosto codice — tanto piú prezioso in quanto, come ognun vede, rappresenta l’ultima volontá dell’autore — passò, attraverso non si sa quali e quanti possessori intermedi, a un Giuseppe Solari, che nel luglio 1872, secondo è detto in altra postilla di mano aliena, lo vendè, in Fermo, al marchese Filippo Raffaelli: ultimo possessore privato conosciuto, prima che, in tempo incerto, il codice entrasse a far parte dei manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli[2].